mercoledì 26 gennaio 2011

Il mistero di Ippolito Nievo: chi mise “quella” bomba?

Il fortunato programma di Gianni Minoli, “La Storia siamo noi”, si occuperà prossimamente dell’inquietante episodio che ha visto protagonista il celebre scrittore e garibaldino Ippolito Nievo. Non tutti sanno che l’autore di “Confessioni di un Italiano” fu anche uno dei Mille che accompagnarono Giuseppe Garibaldi durante la campagna che contribuì, in modo determinante, all’Unità d’Italia. Le mansioni del Nievo, nell’ambito della spedizione in camicia rossa, fu quella di contabile. Non era certo un compito semplice. C’era da segnare sui quaderni sia le entrate, comprese le “sponsorizzazioni” che molti Stati europei dell’epoca erogarono alla causa garibaldina, sia le uscite che, probabilmente, hanno visto anche parecchie voci destinate a “favorire” uno scarso impegno da parte di alcune frange delle truppe borboniche. Fatto sta che i documenti contabili redatti dal Nievo rappresentavano forse una “macchia” nel candido percorso storico dei Mille. E così, il 4 marzo 1861, pochi giorni prima della proclamazione dell’Unità d’Italia, lo scrittore – contabile si imbarcò sul Piroscafo Ercole, in navigazione da Palermo a Napoli, per poi proseguire per Genova e quindi a Torino per la consegna ufficiale dei libri contabili al Governo del Re. Ma il piroscafo non giungerà mai a Napoli. Di quasi 90 passeggeri, compreso l’equipaggio, si è persa ogni traccia. Nessun relitto e nessun cadavere fu rinvenuto galleggiare nel tratto di mare più volte ispezionato. E così, di Ippolito Nievo e dei suoi libri contabili non si è più parlato. Fino a quando non è uscito l’ultimo romanzo di quella “vecchia volpe” di Umberto Eco, intitolato “Il cimitero di Praga”. Per la redazione di un paio dei capitoli principali, lo scrittore si è chiaramente ispirato ad altri due libri, uno scritto da Cesaremaria Glori, dal titolo “La tragica morte di Ippolito Nievo”, mentre l’altro, è di Stanislao Nievo, un pronipote del celebre garibaldino, dal titolo “Il prato in fondo al mare”. Entrambi gli autori hanno ricostruito gli ultimi episodi salienti della vita di Ippolito Nievo, giungendo alla conclusione, peraltro sensata, che lo scrittore-contabile ed i suoi compagni di viaggio siano state vittime di un vero e proprio attentato. L’ipotesi ha affascinato lo staff di Minoli, che ha cercato di capire che tipo di ordigno “a tempo” potesse essere collocato a bordo di un natante, tanto da creare un’esplosione che potesse rapidamente colare a picco l’imbarcazione senza dare scampo a nessuno. Un ordigno che fu, probabilmente, caricato all’interno di una cassa di tipo mercantile, all’interno della stiva del Piroscafo Ercole.

Per fare questa analisi la RAI si è rivolta all’Istituto Ricerche Esplosivistiche di Parma, con il quale ci sono state già in passato diverse collaborazioni. Il sottoscritto, avvalendosi dell’aiuto del falegname parmigiano Ivano Dalla Romanina, ha quindi ricostruito i meccanismi in legno che all’epoca erano presumibilmente utilizzati per temporizzare una carica di esplosivo. Non va infatti dimenticato che a metà dell’800 non c’erano “timer” elettrici o meccanici adeguati e le prime applicazioni elettriche sono arrivate nel 1875, con l’invenzione della lampadina da parte di Edison. A mio modesto avviso era usanza utilizzare, all’epoca, un’arma da fuoco, quale “detonatore” di circostanza. Il simulacro dell’ordigno, con due sistemi di temporizzazione diversi è attualmente visibile presso il Museo dell’Istituto Ricerche Esoplosivistiche di Parma in Strada S.Margherita, 10/A. Per ricreare poi gli effetti di innesco, probabilmente tramite una pistola ad avancarica, la RAI si è avvalsa anche del poligono del Tiro a Segno di Parma, col contributo determinante del presidente Arnaldo Bicocchi e del suo staff. Il responsabile dell’archivio storico di Parma, Roberto Spocci, ha anche consentito che la RAI filmasse i fucili Enfield-Barnett donati, insieme ad altri cimeli, dallo stesso Garibaldi al Comune di Parma.
Ci sarà quindi molta “Parma” in una delle prossime puntate de “La Storia siamo noi”.

di Danilo Coppe
http://www.zerosette.it/?p=990

mercoledì 12 gennaio 2011

L’ALTRO RISORGIMENTO: Ippolito Nievo primo mistero tricolore

Nel marzo del 1861 sparisce nel nulla tra Palermo e Napoli il piroscafo “Ercole”. A bordo lo scrittore con la documentazione economica sulla spedizione dei Mille

di Gilberto Oneto

Il 4 marzo 1861, tredici giorni prima della proclamazio­ne del Regno d'Italia, lascia Palermo il piroscafo "Ercole", di circa 450 tonnellate di stazza. Per l'epoca è una nave vec­chiotta ma perfettamente in grado di affrontare le normali navigazioni sulle rotte tirreni­che. È al comando del capitano Michele Mancino, con 18 uo­mini di equipaggio, napoletani e calabresi, e 40-60 passeggeri. È stipato fino al limite con 232 tonnellate di merce. La destina­zione è il porto di Napoli, la lun­ghezza prevista del viaggio è di 28 ore. Quasi contemporanea­mente partono con uguale de­stinazione e rotta il piroscafo "Pompei" e il vascello inglese "Eximouth".

Fra i passeggeri dell'"Ercole" ci sono alcuni ufficiali garibal­dini appartenenti all'Intenden­za dei Mille. Sono i capitani Salviati e Maggiolini, e Pietro Nul­lo, il giovanissimo fratello del più noto Francesco: li guida il giovane colonnello Ippolito Nievo, friulano di famiglia mantovana, letterato che ha già pubblicato alcune opere, ma che diventerà famoso con Le confessioni di un italiano, dato alle stampe dopo la sua morte. Il gruppetto porta l'intera docu­mentazione dell'amministra­zione militare della spedizione in Sicilia. Ci sono le ricevute, le fatture, le lettere e tutto quello che riguarda la gestione dell'immenso patrimonio eco­nomico di cui è dotato Garibal­di e di quello trovato nelle casse siciliane.

Onestà leggendaria

Sull'utilizzo della cospicua sostanza si è da tempo sollevata una dura polemica politica ali­mentata a Torino dalle critiche di molti parlamentari. Nievo è incaricato dell'amministrazio­ne per la sua fama di correttez­za che alimenta pittoreschi rac­conti: si dice, per esempio, che a Palermo, per garantirne la massima sorveglianza, dorma fisicamente sui soldi che ha in custodia: il più costoso mate­rasso del Risorgimento. La me­ta finale del gruppetto è Torino, dove è atteso dall'Intendente capo Giovanni Acerbi, amico personale di Nievo.

La navigazione procede tran­quilla fino all'alba del giorno 5, quando un fortunale di qualche ora interessa lo specchio di mare attraversa­to. Alle 10 di mattina il tem­po torna calmo e le altre due navi arrivano a Napoli. L"`Er­cole" invece non compare e passano ben 11 giorni prima che si invii una nave a cercarlo. Per quattro giorni il vapore "Ge­neroso" perlustra la rotta, ma rientra senza apparentemen­te aver trovato nulla: però il "Giornale di bordo" re­lativo a quei giorni spa­risce.

Solo il giorno 17 sul giornale "Omnibus" compare una breve notizia: «L'Ercole, battello a vapore della Compagnia Calabro-Sicula, è affondato a mezzavia tra Palermo e Na­poli per un colpo di mare. Incerto il nu­mero dei naufraghi». Tutti gli altri giornali tac­ciono. Il 1 aprile, dopo 25 giorni, lo stesso "Omnibus" scrive che c'è un superstite del naufragio, che è ricoverato in un ospe­dale napole­tano. Ma di questo uomo si per­de subito ogni traccia.

Tutta la vi­cenda è piena di stranezze. Perché un ca­rico così pre­zioso non vie­ne affidato a un vascello più sicuro o, addirittura, a una delle tante navi militari che solcano in quei giorni il Tirreno? Per­ché fare il giro da Napoli quando le carte sono attese a Torino? Perché le ricer­che sono partite solo dopo 11 giorni dal mancato arrivo dell’Ercole"? Perché sull'intera vicenda si è fatto silenzio? Co­me è possibile che il naufragio di una nave di quelle dimensio­ni non lasci alcun relitto?

Non è solo il libro di bordo del "Generoso" a risultare ma­nomesso. Quando, un secolo dopo, Stanislao Nievo, ni­pote di Ippolito, si dedica a una ricerca sui fatti, trova sistematici buchi in tutti gli archi­vi consultati: so­lo nell'Archivio di Stato di Torino e rimasta, nel “mazzo 307" dedica­to all'In­tendenza dei Mille, una cartella sulla vicenda, ma scrupolosa­mente vuota!

Ci sono altri ele­menti interessanti che vanno presi in conside­razione. Lo stesso giorno 4 marzo la flotta inglese dell'ammiraglio Mundy, composta da otto navi, lascia - finito il suo compito di "su­pervisione" - il porto di Napo­li diretta a Malta. Negli stessi giorni l'intera flotta da guerra piemontese è impegnata nel blocco di Messina, che sta an­cora resistendo. Così ci sono nel tratto di mare percorso dall"'Ercole" decine e decine di navi di diversa nazionalità: lo spazio è così intasato che nien­te potrebbe sfuggire. Lo scena­rio è in maniera inquietante si­mile a un altro dei misteri d'Ita­lia, quello dell'incidente di Usti­ca, avvenuto 120 anni più tardi proprio nella stessa parte di mare.

Non si saprà probabilmente mai se l'Ercole sia affondato per una tempesta o per una esplo­sione accidentale o dolosa. Il nipote di Nievo è addirittura sceso sui fondali a cercare risposte, ma senza successo. Le sue ricerche hanno generato due libri: Il prato in fondo al mare (1974) e Il sorriso degli dei (1997).

Sull'argomento è tornato di recente Cesaremaria Glori (La tragica morte di Ippolito Nie­vo, Solfanelli), ricordando altri elementi inquietanti, come la presenza a bordo di tale Loren­zo Garassini, probabile agente cavouriano, che sarebbe perito in mare, ma in un altro naufra­gio, anni dopo nel Golfo del Leone, o come l'atteggiamento di Nievo che da un po' manifestava perplessità sulla sua espe­rienza e voglia di "sfogarsi".

Scontro tra fazioni

Sicuramente dietro alla vi­cenda si nasconde lo scontro in atto a Torino fra due fazioni. Da un lato, i cavouriani intendono dimostrare non solo che l'ap­porto garibaldino alla conqui­sta è stato di facciata, ma anche che si siano dissipate in manie­ra "allegra", se non addirittura truffaldina, enormi somme di denaro. Dall'altro, ci sono i ga­ribaldini che sostengono il contrario. Entrambe le fazioni si ac­cuseranno di avere avuto inte­resse nella sparizione della do­cumentazione, ma lo faranno con estrema discrezione. In particolare, a nessuno interessa troppo fare sapere delle 10mila piastre turche (circa 12 milioni di euro) che erano arrivate dall'Inghilterra a Garibaldi. Lo stesso Generale, in una lettera inviata da Caprera alla famiglia con straordinario tempismo il 28 febbraio, è freddino e strana­mente "burocratico": «Tra i miei compagni d'armi di Lom­bardia e dell'Italia Meridionale - tra i più prodi - io lamento la perdita del Colonnello Ippolito Nievo. Risparmiato tante volte in campo di battaglia dal piom­bo nemico - è morto naufrago nel Tirreno - dopo la gloriosa campagna del'60. Una famiglia che può vantare nel suo seno un valoroso quale il nostro Nie­vo (sic!) merita la gratitudine dell'Italia».

In realtà la sparizione dei do­cumenti fa comodo a tutti, per poter accusare gli avversari, ma - soprattutto - perché a tutti è di vantaggio nascondere verità che metterebbero in difficoltà il cuore stesso (e la cassa) del mi­to di fondazione d'Italia.



Gilberto Oneto
Libero, Mercoledì 12 Gennaio 2011