martedì 8 maggio 2012
Presentazione al Salone del Libro di Torino (Venerdì 11 Maggio 2012)
martedì 27 marzo 2012
mercoledì 2 novembre 2011
"La misteriosa morte di Ippolito Nievo" di Emiliano Ventura
Cittadino di Padova nasce nel 1831 prima di dedicarsi alle lettere ha studiato Legge nella stessa città, è stato molto di più del semplice autore del romanzo che anticipa l’unità nazionale, la sua figura e la sua morte non ha cessato di creare interesse. È autore di un testo particolare come la Storia filosofica dei secoli futuri in cui intreccia politica e teorie fantascientifiche, tanto che alcuni vi hanno visto una proto-fantascienza.
Poeta e drammaturgo, articolista avverso alla politica austriaca ha manifestato nelle lettere e nella pratica il suo desiderio di vedere l’Italia unita.
Nievo vuole combattere con i volontari di Garibaldi, si unisce ai Cacciatori delle Alpi nella Seconda guerra di Indipendenza (1859), poi deluso e amareggiato dalla pace di Villafranca si unisce alla spedizione dei Mille. Preferirà sempre questo fronte combattente irregolare a differenza dei fratelli che si arruolano tra i piemontesi. Grazie alla sua personalità votata all’onestà intellettuale e alla precisione, uniti ai suoi studi in Legge, viene assegnato all’intendenza, ovvero l’ufficio amministrativo del piccolo esercito garibaldino, in poche parole deve gestire i soldi.
Combatte per mesi in quella campagna vittoriosa, tanto sbandierata sui vecchi sussidiari di scuola, poi nel 1861 in prossimità dell’ufficializzazione del neonato Regno d’Italia qualcuno muove accuse alla gestione dell’impresa, si accusa l’Intendenza di cattiva gestione. È La Farina l’uomo inviato in Sicilia da Cavour che tenta di gettare fango su Garibaldi e l’impresa, il tutto per la paura che Garibaldi non lasci le conquistate terre al Piemonte.
Ippolito reagisce alle accuse compilando un accurato resoconto delle spese sostenute in guerra, si prepara a partire per Torino dove vuole fare chiarezza, ha appuntamento con il suo diretto superiore Acerbi. Non mancavano le difficoltà per lo scrittore improvvisatosi amministratore, sono sessantamila i cappotti acquistati per i garibaldini e mai indossati (verranno rivenduti a basso prezzo dagli stessi garibaldini), nell’esercito improvvisato si contano un numero spropositato di promozioni. C’è da gestire l’enorme cifra requisita al Banco di Sicilia, circa 200 milioni di euro odierni. Il 4 marzo del 1861 Nievo e le sue carte si imbarcano da Palermo per Napoli sul vapore Ercole inseme ad altre ottanta persone, la notte tra il 4 e il 5 marzo il vascello naufraga senza alcun superstite.
Fin qui sembra una delle tante tragedie di guerra e mare, ma come dice Shakespeare “c’è del marcio in Danimarca”, qualcosa non torna.
Nel 2010 è uscito uno dei pochi bei libri che vengono pubblicati in Italia, ne è autore Cesaremaria Glori, il titolo è La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo Ercole (Edizioni Solfanelli), come reso già nel titolo Glori vede in quel naufragio un fatto doloso, cioè la volontà di far tacere una voce, quindi un atto politico.
Una trentina di anni prima nel 1974 Stanislao Nievo, pronipote di Ippolito, aveva scritto Il Prato in fondo al mare, dove rievoca la figura dell’avo e ricostruisce l’avventura del tentativo di riportare alla luce la verità sul naufragio del battello; racconta, allo stesso tempo, la spedizione che tentò cento anni dopo di recuperare parte del vapore adagiato sul fondo marino. È una morte che non ha cessato di interessare la letteratura.
Il libro di Glori è meritevole di ‘aver schiarito alquanto certe ombre delle idee’, sulla morte di Nievo e sulla spedizione dei Mille. Veniamo così a sapere del ruolo della Massoneria nell’impresa dei mille, in particolare della massoneria Inglese che vedeva di buon occhio il ridimensionamento del papato e dei borboni del Regno delle due Sicilie. Veniamo a sapere, secondo Glori, che una ingente somma di denaro (diecimila piastre turche pari a svariati milioni di dollari) è stata consegnata durante lo scalo a Talomone dei due piroscafi che trasportavano i mille verso la Sicilia, Ippolito Nievo in qualità di intendente doveva amministrare e vigilare su questa somma di denaro, letteralmente ci dormiva sopra. La somma messa a disposizione da donatori stranieri, tra cui le loggie massoniche europee, dovevano servire a pagare le necessità di ogni esercito ma anche per permettere di ‘ammorbidire’ la difesa dell’esercito borbonico. Il regno dei Borboni era il più ricco della penisola e industrialmente avanzato, i suoi cantieri erano i più efficienti, i macchinari dell’acciaieria di Pietrarsa vennero inglobati dall’Ansaldo di Genova dopo l’Unità, il suo esercito e la sua marina erano tra quelli con il miglior equipaggiamento; la loro sconfitta è stata troppo facile per non destare sospetti di corruzione. Anche se questa accusa non è mai stata provata i 15 mila soldati borbonici che lasciano ordinatamente Palermo nelle mani dei pochi garibaldini un sospetto lo lasciano.
La storia fatta dai vincitori ci ha insegnato che l’impresa ha avuto successo coronato dall’unità d’ Italia, non ci dice però che il nuovo potere non è immune da resistenze, ogni volta che a un potere se ne sostituisce un altro non è mai un atto indolore, le scosse di assestamento finiscono per colpire i meno furbi e i più onesti. Sotto l’inchiesta contro l’operato dell’Intendenza (e quindi indirettamente contro l’onestà di Nievo) e dei Mille si intuisce una manovra eversiva della destra conservatrice, le carte imbarcate sull’Ercole con il resoconto dettagliato di Nievo dovevano servire come difesa e come prova della regolarità e dell’onestà del movimento garibaldino.
Il colonnello Ippolito Nievo doveva sapere molte cose e le aveva scritte in documenti dettagliati, li stava portano al nuovo parlamento di Torino quando quel battello naufraga senza un superstite la stampa ufficiale gli dedica poco e tardivo interesse. Per Glori quel naufragio ha il sapore del sabotaggio e la morte di Nievo non è una casualità. Non è il solo a pensarla così anche lo storico Nino Buttitta pensa che il naufragio e la morte di Nievo sia stato il primo delitto di Stato italiano, un caso Mattei dell’Ottocento. Su cinque navi che erano sulla stessa rotta la sola a non arrivare in porto è proprio l’Ercole, sparisce senza lasciare neanche un legno di risacca, il che risulta essere strano se fosse stato un naufragio accidentale qualcosa si sarebbe trovata. Questo fatto alimenta il sospetto del sabotaggio o dell’esplosione che giustificherebbe un affondamento così rapido da ingoiare qualsiasi cosa.
Il saggio di Cesaremaria Glori è una lettura preziosa che apre scenari ancora non chiariti e troppe volte taciuti per una retorica patriottica ormai desueta, ha il pregio di essere una lettura necessaria.
Emiliano Ventura
http://www.steppa.net/html/emiliano/nievo.htm
giovedì 10 marzo 2011
GLI APPUNTAMENTI DEL VENERDI' di Tornando a casa (11/03/2011)
lunedì 7 marzo 2011
L’UNITA’ D’ITALIA TRA ONORI E CONTRADDIZIONI
Mentre anche la nostra scuola, attraverso varie iniziative didattiche, si prepara con entusiasmo patriottico a celebrare la “festa nazionale” del 17 Marzo 1861, ha suscitato non pochi interrogativi, tra alunni e professori, la puntata del programma “LA STORIA SIAMO NOI”, condotta da Giovanni Minoli su RAI 3 e andata in onda venerdì 4 marzo alle ore 23.00, nella quale si è ricostruita la vicenda umana e politica di Ippolito Nievo, uno degli esponenti più significativi e prestigiosi del nostro Risorgimento.
Inoltre, alla puntata ha partecipato, tra gli altri, lo storico Cesaremaria Glori, autore del libro “LA TRAGICA MORTE DI IPPOLITO NIEVO (Edizioni Solfanelli). L’autore, infatti, ha precisato che
Ippolito Nievo, l’autore de “Le confessioni di un italiano”, uno dei più bei romanzi dell’Ottocento, partecipò alla Spedizione di Garibaldi del 1859. Nel corso della navigazione verso le coste siciliane gli fu affidato l’incarico di Vice Intendente, il che comportava la responsabilità dell’amministrazione del corpo di spedizione e, in seguito, dell’Esercito Meridionale. Un incarico pieno di responsabilità questo, suscettibile di critiche che divennero malevole e spesso calunniose nella lotta fra le fazioni che vedevano contrapporsi Cavour e Garibaldi.
Fu proprio per difendersi da queste calunnie, che avevano trovato nella stampa dell’epoca una tribuna ascoltata e temuta, che Nievo fu costretto a redigere un Rendiconto nel quale dimostrava, con meticolosa precisione, l’operato suo e di tutta l’Intendenza.
Fare ricorso a quella stesura fu una mossa corretta, tuttavia nel fascicolo erano contenute notizie riservate, della specie che non sarebbe stato opportuno rivelare.
Nievo partì da Palermo con il vapore “Ercole” la sera del 4 marzo 1861: a bordo c’erano ottanta persone tra equipaggio e passeggeri e, custodito in una voluminosa cassa, il Rendiconto con tutti i documenti giustificativi che lui aveva predisposto.
Il console amburghese Hennequin, che a Palermo curava gli interessi del Governo di Londra, aveva cercato di dissuaderlo dall’imbarcarsi su quella nave, ma il Vice Intendente non era uomo dall’abbandonare né il suo equipaggio né il prezioso carico, e non comprese il criptico messaggio del’annunciato disastro.
Non sapeva che quel rendiconto non doveva vedere la luce, perché avrebbe rivelato l’ingerenza pesante del Governo di Londra nella caduta del Regno delle Due Sicilie. L’Intendenza aveva dovuto gestire un ingente finanziamento in piastre d’oro turche, che aveva favorito l’arrendevolezza di gran parte degli ufficiali e delle alte cariche civili borboniche: un’immobilità che aveva paralizzato l’Esercito e soprattutto la Marina borbonica.
La reazione fu tardiva, lacunosa e minata dalla sfiducia aggravata dal tradimento di molti, senza il quale il più grande e agguerrito Stato della penisola italiana, con la terza flotta europea di quel tempo, difficilmente sarebbe caduto. La mattina successiva il piroscafo “Ercole” si inabissò, quand’era già prossimo al golfo di Napoli.
Tale tragico evento, a distanza di 150 anni, evidenzia ancora, pur tra la gloria della sofferta Unità, le molteplici contraddizioni della storia italiana.
di Prof.ssa Maria Ermelinda Di Lieto, Docente di Storia e Geografia III E
http://www.alboscuole.it/articoli.aspx?cod=f0e8eg0300j1x6lq1818u2g0yd2424t3c2qo3534q4r0ka4041-20930&profile=i0x1jq0606r1x2mo1810l2o0jq2126f3h7kh3632q4c8pg4340-3599
venerdì 4 marzo 2011
Cesaremaria GLORI a "La Storia siamo noi" (RAI 3)
La vita, gli scritti e la morte di un giovane patriota garibaldino. Il racconto di un mistero irrisolto.
Approfondimento
Nella notte tra il 3 e il 4 marzo 1861 scompare misteriosamente sulla rotta Palermo-Napoli il vapore Ercole, di ritorno dalla spedizione dei Mille. A bordo c’è il patriota e scrittore italiano Ippolito Nievo, cui Garibaldi aveva affidato il compito di intendente. Con lui, spariscono anche i documenti amministrativi e finanziari della spedizione, che egli aveva accuratamente raccolto. In molti potevano avere interesse a far sparire quelle carte. Un giallo risorgimentale dai contorni ancora irrisolti.
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-1eda02db-9140-4be0-9dbc-cbf51a7b897c.html
martedì 1 marzo 2011
Cesaremaria GLORI a LA STORIA SIAMO NOI (RAI 3, venerdì 4 marzo, ore 23,00)
mercoledì 26 gennaio 2011
Il mistero di Ippolito Nievo: chi mise “quella” bomba?
Per fare questa analisi la RAI si è rivolta all’Istituto Ricerche Esplosivistiche di Parma, con il quale ci sono state già in passato diverse collaborazioni. Il sottoscritto, avvalendosi dell’aiuto del falegname parmigiano Ivano Dalla Romanina, ha quindi ricostruito i meccanismi in legno che all’epoca erano presumibilmente utilizzati per temporizzare una carica di esplosivo. Non va infatti dimenticato che a metà dell’800 non c’erano “timer” elettrici o meccanici adeguati e le prime applicazioni elettriche sono arrivate nel 1875, con l’invenzione della lampadina da parte di Edison. A mio modesto avviso era usanza utilizzare, all’epoca, un’arma da fuoco, quale “detonatore” di circostanza. Il simulacro dell’ordigno, con due sistemi di temporizzazione diversi è attualmente visibile presso il Museo dell’Istituto Ricerche Esoplosivistiche di Parma in Strada S.Margherita, 10/A. Per ricreare poi gli effetti di innesco, probabilmente tramite una pistola ad avancarica, la RAI si è avvalsa anche del poligono del Tiro a Segno di Parma, col contributo determinante del presidente Arnaldo Bicocchi e del suo staff. Il responsabile dell’archivio storico di Parma, Roberto Spocci, ha anche consentito che la RAI filmasse i fucili Enfield-Barnett donati, insieme ad altri cimeli, dallo stesso Garibaldi al Comune di Parma.
Ci sarà quindi molta “Parma” in una delle prossime puntate de “La Storia siamo noi”.
di Danilo Coppe
http://www.zerosette.it/?p=990
mercoledì 12 gennaio 2011
L’ALTRO RISORGIMENTO: Ippolito Nievo primo mistero tricolore
di Gilberto Oneto
Il 4 marzo 1861, tredici giorni prima della proclamazione del Regno d'Italia, lascia Palermo il piroscafo "Ercole", di circa 450 tonnellate di stazza. Per l'epoca è una nave vecchiotta ma perfettamente in grado di affrontare le normali navigazioni sulle rotte tirreniche. È al comando del capitano Michele Mancino, con 18 uomini di equipaggio, napoletani e calabresi, e 40-60 passeggeri. È stipato fino al limite con 232 tonnellate di merce. La destinazione è il porto di Napoli, la lunghezza prevista del viaggio è di 28 ore. Quasi contemporaneamente partono con uguale destinazione e rotta il piroscafo "Pompei" e il vascello inglese "Eximouth".
Fra i passeggeri dell'"Ercole" ci sono alcuni ufficiali garibaldini appartenenti all'Intendenza dei Mille. Sono i capitani Salviati e Maggiolini, e Pietro Nullo, il giovanissimo fratello del più noto Francesco: li guida il giovane colonnello Ippolito Nievo, friulano di famiglia mantovana, letterato che ha già pubblicato alcune opere, ma che diventerà famoso con Le confessioni di un italiano, dato alle stampe dopo la sua morte. Il gruppetto porta l'intera documentazione dell'amministrazione militare della spedizione in Sicilia. Ci sono le ricevute, le fatture, le lettere e tutto quello che riguarda la gestione dell'immenso patrimonio economico di cui è dotato Garibaldi e di quello trovato nelle casse siciliane.
Onestà leggendaria
Sull'utilizzo della cospicua sostanza si è da tempo sollevata una dura polemica politica alimentata a Torino dalle critiche di molti parlamentari. Nievo è incaricato dell'amministrazione per la sua fama di correttezza che alimenta pittoreschi racconti: si dice, per esempio, che a Palermo, per garantirne la massima sorveglianza, dorma fisicamente sui soldi che ha in custodia: il più costoso materasso del Risorgimento. La meta finale del gruppetto è Torino, dove è atteso dall'Intendente capo Giovanni Acerbi, amico personale di Nievo.
La navigazione procede tranquilla fino all'alba del giorno 5, quando un fortunale di qualche ora interessa lo specchio di mare attraversato. Alle 10 di mattina il tempo torna calmo e le altre due navi arrivano a Napoli. L"`Ercole" invece non compare e passano ben 11 giorni prima che si invii una nave a cercarlo. Per quattro giorni il vapore "Generoso" perlustra la rotta, ma rientra senza apparentemente aver trovato nulla: però il "Giornale di bordo" relativo a quei giorni sparisce.
Solo il giorno 17 sul giornale "Omnibus" compare una breve notizia: «L'Ercole, battello a vapore della Compagnia Calabro-Sicula, è affondato a mezzavia tra Palermo e Napoli per un colpo di mare. Incerto il numero dei naufraghi». Tutti gli altri giornali tacciono. Il 1 aprile, dopo 25 giorni, lo stesso "Omnibus" scrive che c'è un superstite del naufragio, che è ricoverato in un ospedale napoletano. Ma di questo uomo si perde subito ogni traccia.
Tutta la vicenda è piena di stranezze. Perché un carico così prezioso non viene affidato a un vascello più sicuro o, addirittura, a una delle tante navi militari che solcano in quei giorni il Tirreno? Perché fare il giro da Napoli quando le carte sono attese a Torino? Perché le ricerche sono partite solo dopo 11 giorni dal mancato arrivo dell’Ercole"? Perché sull'intera vicenda si è fatto silenzio? Come è possibile che il naufragio di una nave di quelle dimensioni non lasci alcun relitto?
Non è solo il libro di bordo del "Generoso" a risultare manomesso. Quando, un secolo dopo, Stanislao Nievo, nipote di Ippolito, si dedica a una ricerca sui fatti, trova sistematici buchi in tutti gli archivi consultati: solo nell'Archivio di Stato di Torino e rimasta, nel “mazzo 307" dedicato all'Intendenza dei Mille, una cartella sulla vicenda, ma scrupolosamente vuota!
Ci sono altri elementi interessanti che vanno presi in considerazione. Lo stesso giorno 4 marzo la flotta inglese dell'ammiraglio Mundy, composta da otto navi, lascia - finito il suo compito di "supervisione" - il porto di Napoli diretta a Malta. Negli stessi giorni l'intera flotta da guerra piemontese è impegnata nel blocco di Messina, che sta ancora resistendo. Così ci sono nel tratto di mare percorso dall"'Ercole" decine e decine di navi di diversa nazionalità: lo spazio è così intasato che niente potrebbe sfuggire. Lo scenario è in maniera inquietante simile a un altro dei misteri d'Italia, quello dell'incidente di Ustica, avvenuto 120 anni più tardi proprio nella stessa parte di mare.
Non si saprà probabilmente mai se l'Ercole sia affondato per una tempesta o per una esplosione accidentale o dolosa. Il nipote di Nievo è addirittura sceso sui fondali a cercare risposte, ma senza successo. Le sue ricerche hanno generato due libri: Il prato in fondo al mare (1974) e Il sorriso degli dei (1997).
Sull'argomento è tornato di recente Cesaremaria Glori (La tragica morte di Ippolito Nievo, Solfanelli), ricordando altri elementi inquietanti, come la presenza a bordo di tale Lorenzo Garassini, probabile agente cavouriano, che sarebbe perito in mare, ma in un altro naufragio, anni dopo nel Golfo del Leone, o come l'atteggiamento di Nievo che da un po' manifestava perplessità sulla sua esperienza e voglia di "sfogarsi".
Scontro tra fazioni
Sicuramente dietro alla vicenda si nasconde lo scontro in atto a Torino fra due fazioni. Da un lato, i cavouriani intendono dimostrare non solo che l'apporto garibaldino alla conquista è stato di facciata, ma anche che si siano dissipate in maniera "allegra", se non addirittura truffaldina, enormi somme di denaro. Dall'altro, ci sono i garibaldini che sostengono il contrario. Entrambe le fazioni si accuseranno di avere avuto interesse nella sparizione della documentazione, ma lo faranno con estrema discrezione. In particolare, a nessuno interessa troppo fare sapere delle 10mila piastre turche (circa 12 milioni di euro) che erano arrivate dall'Inghilterra a Garibaldi. Lo stesso Generale, in una lettera inviata da Caprera alla famiglia con straordinario tempismo il 28 febbraio, è freddino e stranamente "burocratico": «Tra i miei compagni d'armi di Lombardia e dell'Italia Meridionale - tra i più prodi - io lamento la perdita del Colonnello Ippolito Nievo. Risparmiato tante volte in campo di battaglia dal piombo nemico - è morto naufrago nel Tirreno - dopo la gloriosa campagna del'60. Una famiglia che può vantare nel suo seno un valoroso quale il nostro Nievo (sic!) merita la gratitudine dell'Italia».
In realtà la sparizione dei documenti fa comodo a tutti, per poter accusare gli avversari, ma - soprattutto - perché a tutti è di vantaggio nascondere verità che metterebbero in difficoltà il cuore stesso (e la cassa) del mito di fondazione d'Italia.
Gilberto Oneto
Libero, Mercoledì 12 Gennaio 2011
venerdì 24 dicembre 2010
Il confronto fra il romanzo di Eco e il saggio di Glori
Il confronto dei testi
domenica 19 dicembre 2010
Per voi, cari lettori, farei di tutto. Ma non leggere Eco (in L'angolo di Granzotto)
lei ebbe modo di parlare del mio libro sulla tragica morte di Ippolito Nievo. In quell’occasione, scrisse di trovarlo interessante. La ringrazio per quel lusinghiero giudizio.
Ora mi trovo nell'imbarazzo di giudicare ciò che altri hanno definito plagio da parte di Umberto Eco quanto da lui scritto a proposito di Ippolito Nievo nel suo recente Il Cimitero di Praga. In questo romanzo Eco dedica ben novanta pagine per riprendere interamente la mia tesi sulla morte non accidentale dello scrittore garibaldino. Eco da un giudizio negativo sul personaggio Nievo, definendolo un moscardino vanesio e fatuo, ma riprende in pieno la mia tesi che lo vuole vittima di un delitto, anzi vittima della Ragion di Stato. Non so se lei abbia letto il romanzo di Eco (io l'ho fatto e l’ho trovato prolisso e dispersivo, nonché incline a descrivere scene care ai guardoni e ai fanatici dell'esoterismo più depravato), ma nel caso che non lo avesse ancora fatto la pregherei di farlo e giudicare se il plagio (io adotterei, piuttosto, il termine contraffazione) ci sia o meno. Non voglio essere tanto presuntuoso
da pensare di meritare il suo tempo e di sentirmi plagiato da Eco ma, data la notorietà del celeberrimo scrittore piemontese, ho la sensazione che lei si divertirà per questa mia provocazione e che non mancherà di darci le sue argute e calibrate riflessioni.
Cesaremaria Glori
Per voi lettori io sono pronto a qualunque sacrificio, caro Glori. A sorbirmi la Bindi e la Serrachiani, a star dietro al clan di Val Cannuta, a leggermi Repubblica e L'Unità, a slogarmi la mascella per gli sbadigli quando mi toccano le lenzuolate di un Eugenio Scalfari o d'una madamin Spinelli Barbara, ad ascoltare sgangherati concioni di Antonio Di Pietro, a sorbirmi almeno una volta l’anno Santoro e Fazio o quel Ridolini di Floris. Però, Eco no. Non mi chieda di leggere Eco e meno che mai il suo recente centone. Mi fido di lei, caro Glori: le credo sulla parola. Eco - lo dico essendomi purtroppo sorbito Baudolino, 526 pagine per raccontare questa storia: Baudolino va alla busca del Graal. Baudolino non lo trova. Baudolino torna a casa – sarà anche l'intellettuale più noto in Italia, isole comprese, ma se un suo libro ti casca sul piede te lo spappola, per dire quanto sono pesanti i suoi mattoni. Che per farcire la sua ultima mattonata abbia attinto a La tragica morte di Ippolito Nievo, il suo bel libro, caro Glori, non mi sorprende. Lei ha gettato una luce nuova sull'inopinato naufragio del vapore “Ercole” nel corso del quale perì Ippolito Nievo – intendente, cioè ufficiale pagatore dei Mille di Peppino Garibaldi - e scomparvero negli abissi le prove di un consistente finanziamento in piastre d’oro fornite dall'Inghilterra e le “pezze d’appoggio” dei versamenti a alti ufficiali dell’esercito e della marina borbonica i quali, così ben foraggiati, consentirono alle camice rosse di procedere pressoché indisturbati fino a Messina, passare lo Stretto e rimontare la Penisola. Tutte cose che ovviamente né Londra né Torino desideravano fossero rese note. Un ghiottissimo materiale che non poteva non stuzzicare la curiosità del noto autore di fogliettoni parastorici e lei caro Glori dovrebbe sentirsi orgoglioso d'averlo, diciamo così, ispirato. Il guaio è che Eco ha voluto metterci del suo ecocizzando – sinonimo di rendere fasullo – la figura di Nievo tratteggiandolo quale un «moscardino vanesio e fatuo». Segno che dello scrittore garibaldino non sa nulla o, peggio, non ha capito nulla. Se Eco fosse uno storico sarebbe grave, ma siccome è solo, sia detto con rispetto e
anzi, con considerazione, un contastorie farabolano, amen. Tanto La tragica morte di Ippolito Nievo è libro che per il rigore dell'indagine seguiterà a far testo, mentre del pastrocchio II cimitero di Praga si perderà presto, molto presto, quasi subito, la memoria
Paolo Granzotto
il Giornale, Domenica 19 dicembre 2010
giovedì 2 dicembre 2010
La tragica morte di Ippolito Nievo nel "Cimitero di Praga"
Per raccontare l'avventura garibaldina di Ippolito Nievo — conclusasi tragicamente il 4 marzo 1861 — nel suo recentissimo "Il cimitero di Praga”, Umberto Eco deve aver preso spunto dal libro "La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo Ercole" (Solfanelli, Chieti 2010). Umberto Eco sembra attingere vistosamente e palesemente al libro di Cesaremaria Glori, non soltanto per narrare con taglio romanzesco i fatti, ma anche per interpretare la caduta del Regno delle Due Sicilie nel quadro della volontà politica della Gran Bretagna di quel tempo. Volontà tesa a scardinare il Papato non tanto come Stato quanto come istituzione. Il Regno delle Due Sicilie doveva essere fagocitato da uno Stato laico e incline a perseguire una secolarizzazione della vita pubblica dell'intera penisola. La sua caduta era necessaria per eliminare l'ultimo baluardo difensivo del Papato.
La strana assonanza tra il saggio di Glori e il romanzo di Eco è stata rilevata nel corso della presentazione della nuova edizione de "Il Prato in fondo al mare" di Stanislao Nievo (nipote di Ippolito Nievo), avvenuta martedì 30 novembre, nei locali del Museo Etnografico Pigorini di Roma, suscitando viva curiosità e sconcerto.
È in corso la stesura di un dettagliato elenco di brani ove appare chiara, dal confronto dei due testi, l'esistenza di un possibile “plagio”.
L'Autore e l’Editore non intendono sollevare alcuna questione legale, ma il loro intento è far emergere, quantomeno, che Umberto Eco si è ispirato per la realizzazione di un capitolo del suo romanzo attingendo copiosamente al libro di Cesaremaria Glori " La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo Ercole". Ci si aspetta che Umberto Eco riconosca semplicemente di aver attinto all'altrui fatica, per una mera e semplice questione di onestà intellettuale.
martedì 1 giugno 2010
RECENSIONE su "Radici Cristiane"
E veniamo al punto, ottimamente ricostruito da Glori che si è avvalso di materiale di archivi militari: Nievo partì da Palermo con il vapore Ercole la sera del 4 marzo 1860; a bordo c’erano 80 persone tra equipaggio e passeggeri e, custodito in una voluminosa cassa, il Rendiconto con tutti i documenti giustificativi che lui aveva predisposto. Il console amburghese Hennequin, che a Palermo curava gli interessi del Governo di Londra, aveva cercato di dissuaderlo dall’imbarcarsi su quella nave, ma il viceintendente non era uomo dall’abbandonare né il suo equipaggio né il prezioso carico, e non comprese il criptico messaggio dell’annunciato disastro. Non sapeva che quel rendiconto non doveva vedere la luce, perché avrebbe rivelato l’ingerenza pesante del Governo di Londra nella caduta del Regno delle Due Sicilie. L’Intendenza aveva dovuto gestire un ingente finanziamento in piastre d’oro turche, che aveva favorito l’arrendevolezza di gran parte degli ufficiali e delle alte cariche civili borboniche: un’immobilità che aveva paralizzato l’Esercito e soprattutto la Marina borbonica. La reazione fu tardiva, lacunosa e minata dalla sfiducia aggravata dal tradimento di molti, senza il quale il più grande e agguerrito Stato della penisola italiana, con la terza flotta europea di quel tempo, sarebbe difficilmente caduto.
La mattina successiva la nave si inabissò, quand’era già prossima al golfo di Napoli. Scritto con rigore di studioso, ma affascinante come un “giallo”, il saggio contribuisce a dare una nuova luce sugli aspetti meno noti del Risorgimento italiano, al cui 150° anniversario stiamo avvicinandoci forse senza un adeguato approccio critico.
(RC n. 55 - Giugno 2010)
http://www.radicicristiane.it/libro.php/id/187/Cesaremaria%20Glori/La-tragica-morte-di-Ippolito-Nievo
venerdì 9 aprile 2010
Il tesoriere dei Mille fatto fuori dagli Inglesi, di Silvia Stucchi (Libero, 9 aprile 2010)
La tesi del saggio, come recita eloquente il titolo, è chiara: Ippolito Nievo, scrittore e patriota garibaldino, perito non ancora trentenne nel naufragio del vapore Ercole la notte fra il 4 e il 5 marzo 1861, sarebbe stato vittima di un sabotaggio.
In altre parole, dietro la morte dell’autore delle Confessioni di un italiano, spesso liquidato frettolosamente - e a torto!- come un “minore” della letteratura italiana, si celerebbe un vero giallo, un rebus rimasto insoluto per più di un secolo. L’autore, Cesaremaria Glori, ex Tenente colonnello, ora ricercatore e pubblicista, è convinto infatti che il piroscafo su cui era imbarcato Nievo, affondato al largo della costa sorrentina, guarda caso in corrispondenza di un tratto dai fondali particolarmente profondi, non fosse poi quella “carretta del mare” come invece venne presentato a posteriori, ma che, al contrario, si trattasse di una nave solida e perfettamente in grado, grazie agli interventi di manutenzione ricevuti, di solcare il Tirreno per effettuare un viaggio che, tutto sommato, potremmo definire di routine.
Ma perché mai la nave su cui viaggiava Nievo sarebbe stata affondata dolosamente? Per spiegare il “sabotaggio” (tale è l’esplicita convinzione di Glori, cfr. p. 126), l’autore, cui va riconosciuto un grande sforzo di documentazione basato sui realia, ricostruisce un ampio quadro storico che permette di comprendere, al di là della retorica della vulgata scolastica risorgimentale, quali siano state le forze veramente in campo negli anni attorno al 1860-61. E pertanto il saggio, diventando anche una sorta d’indagine giornalistica con venature giallistiche, si va a inserire in una più ampia serie di studi che, negli ultimi anni, vogliono non solo demistificare l’appiattente retorica di cui è stato avvolto il racconto del nostro Risorgimento, ma che mirano anche a dare un’immagine meno “a senso unico” di quegli anni, per evidenziarne le tensioni sotterranee, e per riscoprire, le forze attive, magari non proprio in campo aperto, ma determinanti nel loro adoperarsi dietro le quinte. Glori ricorda così che, alle vicende del 1860-61 diedero fondamentale impulso due elementi, solitamente negletti nel racconto patriottico: il primo fu la Massoneria -il cui ruolo nella realizzanda Unità d’Italia è stato indagato da poco in sede critica, per esempio da Angela Pellicciari (cfr. I Papi e la Massoneria, Ares 2007), la quale ha ricostruito i legami tra l’ideale Massonico e quello mazziniano e patriottico, dal momento che “l’unità d’Italia, e quindi la scomparsa dello Stato della Chiesa, erano funzionali all’instaurazione di un nuovo tipo di universalità” (ibid., p. 88); il secondo fattore fu l’intervento – e il finanziamento – inglese. In particolare, scrive Glori esplicitamente, “la conquista del Meridione d’Italia fu (…) agevolata in modo determinante dall’oro britannico (…) Quel fiume di denaro doveva servire a convincere una numerosa schiera di ufficiali e di alti esponenti dell’Amministrazione civile del Regno delle Due Sicilie, quanto meno, a non ostacolare, l’avvento del nuovo Ordine” (p. 132); e degli interessati maneggi inglesi, afferma l’autore, Nievo stesso era, secondo frammento di epistolario puntigliosamente compulsato da Glori, acutamente consapevole (pp. 38-39).
Il giovane Ippolito, per sua sfortuna, incrociò questa delicatissima congiuntura storica, restandone mortalmente (è proprio il caso di dirlo!) coinvolto, perché, membro della spedizione garibaldina, ricevette la carica di Vice Intendente, affidatagli anche in considerazione della sua comprovata onestà e del suo slancio ideale. Ciò comportava una serie di gravose responsabilità amministrative in relazione alla documentazione di spese e finanziamenti dell’impresa, e poneva Nievo in una posizione critica, in quella lotta la quale, lungi dalla vulgata scolastica che vuole perfetta concordia tra Cavour e Garibaldi, divise spesso in seguito i due partiti e le due fazioni. Il nostro patriota e scrittore dovette certo stilare un Rendiconto dettagliato circa lo stato delle finanze della spedizione. E tale documento non poteva non tenere conto del fatto che di tali finanziamenti facevano parte – e questo è il punto focale del testo di Glori - diecimila piastre turche in oro (equivalenti al valore di svariati milioni di dollari odierni, cfr. p. 55), elargite, secondo l’ipotesi già espressa da G. Di Vita durante il convegno “La liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria” (1988, atti presso le Edizioni Bastogi, Foggia 1990) direttamente a Garibaldi per un valore di circa tre milioni di franchi del tempo. La somma fu convertita, per scrupolo dissimulatorio, in valuta di un Paese, la Turchia, nemmeno lontanamente legato alle italiche vicende, ed era, al contempo, valuta pregiata, accettata ed apprezzata in tutto il bacino del Mediterraneo, particolarmente in isole quali la Sicilia, Malta, Creta e Cipro (p. 56). Glori, addirittura, identifica anche il preciso momento in cui questo tesoro venne imbarcato sui legni garibaldini: ciò sarebbe accaduto durante la sosta a Talamone, sosta motivata tradizionalmente dalla necessità di rifornirsi di cibo ed acqua, il che, secondo l’autore, sarebbe però stato “altamente improbabile”. Piuttosto, va ricordato che, sino a pochi mesi prima della spedizione dei Mille, a Lucca si coniavano per conto della Turchia ottomana le piastre d’oro; una buona quantità di quel denaro giaceva ancora presso la Zecca lucchese, e “nulla vieta di presumere che fosse acquistato da un potente governo straniero” (ibid.), di concerto con il governo della Sublime Porta “per essere destinato a riservatissime esigenze”. Tale fortuna, nonostante manchino- Glori è assai onesto nell’ammetterlo- documenti su specifici episodi di corruzione di ufficiali e amministratori borbonici, avrebbe poi di molto accelerato la successiva marcia trionfale dalla conca di Palermo al Vesuvio. Il denaro fu posto sotto la diretta responsabilità di Nievo, non a caso nominato vice Intendente in occasione della sosta per rifornimento a Talamone, non alla partenza a Quarto e nemmeno all’arrivo a Marsala, il che conferma ulteriormente, se mai servisse, che nella località toscana avvenne qualcosa di fondamentale. E non dimentichiamo che Ippolito, in una lettera alla sorella, dopo lo sbarco a Marsala, afferma testualmente d’essere costretto a dormire su sacchi pieni di denari, i quali, per certo, non possono venire identificati, secondo Di Vita, e nemmeno secondo Glori, con i “pochi soldacci di rame” trovati nelle casse comunali della cittadina siciliana; De Vita, che avrebbe potuto consultare gli archivi massonici di Edimburgo, afferma che il denaro, identificato nelle piastre turche, provenisse dall’Impero Britannico, intenzionato a sradicare dall’Italia il Papato e pertanto favorevole alla causa dell’unità nazionale: così ipotizza con dovizia di particolari anche Glori.
Nievo, quindi, sarebbe perito nel naufragio doloso dell’Ercole, affinché i conti della spedizione garibaldina non rivelassero tale non disinteressato aiuto e, men che meno, la sua provenienza. Non solo: nella fitta mole di materiale d’archivio puntigliosamente compulsato, troviamo citata, e riprodotta fotograficamente, una lettera di condoglianze, firmata Giuseppe Garibaldi e indirizzata alla famiglia di Nievo (p. 126 ss.); la missiva esprime vivo dispiacere, e tuttavia, osa affermare Glori, sfidando nientemeno che il Mito, “il rammarico potrà anche essere stato sincero, ma quella lettera ai familiari ci appare intrisa di ipocrisia” (!): secondo l’autore del presente saggio, infatti, l’Eroe dei Due Mondi, affiliato alla Massoneria sin dal 1844, non poteva essere all’oscuro degli avvenimenti della notte fra il 4 e 5 marzo, così come pure doveva esserlo un altro personaggio ben noto a Nievo, e cioè il console Hennequin, anch’egli di comprovata familiarità con gli ambienti britannici e massonici. I tentativi di dissuasione di quest’ultimo, che cercò ripetutamente di convincere Nievo a procrastinare la partenza, consentirebbero di ipotizzare con una certa sicurezza che il giovane scrittore, al contrario, non doveva essere membro della associazione segreta, per il semplice motivo che, in tal caso, l’Hennequin avrebbe avuto l’obbligo di avvertirlo esplicitamente, per salvarlo, e il giovane, del resto, avrebbe dovuto obbedire al consiglio di un confratello.
Insomma, il testo di Glori espone e propone una tesi chiara, dimostrata more geometrico con dovizia di particolari, riproducendo molto materiale raro a consultarsi, il che dimostra uno studio indefesso, ostinato e appassionato, oltre che, ci pare, competente. Con socratica evidenza, una volta formulata l’ipotesi, sulla base di certe premesse, l’autore ci illustra una serie di indizi dettagliatissimi, per ricostruire un quadro che alla fine risulti persuasivo per il lettore: e, al di là delle conclusioni e delle convinzioni, resta, dalla lettura di queste pagine, l’impressione che sul nostro Risorgimento ancora molto ci sia da dire, e che molte figure, personaggi ed episodi, celino un risvolto avventuroso, ai limiti del giallo, che sarebbe interessante conoscere meglio.
Silvia Stucchi
Libero, 9 aprile 2010