venerdì 24 dicembre 2010

Il confronto fra il romanzo di Eco e il saggio di Glori

Con questo link si può scaricare il confronto tra le pagine del romanzo Il cimitero di Praga di Umberto Eco e il saggio La tragica morte di Ippolito Nievo di Cesaremaria Glori.

Il confronto dei testi

domenica 19 dicembre 2010

Per voi, cari lettori, farei di tutto. Ma non leggere Eco (in L'angolo di Granzotto)

Egregio dottor Granzotto,
lei ebbe modo di parlare del mio libro sulla tragica morte di Ippolito Nievo. In quell’occasione, scrisse di trovarlo interessante. La ringrazio per quel lusinghiero giudizio.
Ora mi trovo nell'imbarazzo di giudicare ciò che altri hanno definito plagio da parte di Umberto Eco quanto da lui scritto a proposito di Ippolito Nievo nel suo recente Il Cimitero di Praga. In questo romanzo Eco dedica ben novanta pagine per riprendere interamente la mia tesi sulla morte non accidentale dello scrittore garibaldino. Eco da un giudizio negativo sul personaggio Nievo, definendolo un moscardino vanesio e fatuo, ma riprende in pieno la mia tesi che lo vuole vittima di un delitto, anzi vittima della Ragion di Stato. Non so se lei abbia letto il romanzo di Eco (io l'ho fatto e l’ho trovato prolisso e dispersivo, nonché incline a descrivere scene care ai guardoni e ai fanatici dell'esoterismo più depravato), ma nel caso che non lo avesse ancora fatto la pregherei di farlo e giudicare se il plagio (io adotterei, piuttosto, il termine contraffazione) ci sia o meno. Non voglio essere tanto presuntuoso
da pensare di meritare il suo tempo e di sentirmi plagiato da Eco ma, data la notorietà del celeberrimo scrittore piemontese, ho la sensazione che lei si divertirà per questa mia provocazione e che non mancherà di darci le sue argute e calibrate riflessioni.

Cesaremaria Glori
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Per voi lettori io sono pronto a qualunque sacrificio, caro Glori. A sorbirmi la Bindi e la Serrachiani, a star dietro al clan di Val Cannuta, a leggermi Repubblica e L'Unità, a slogarmi la mascella per gli sbadigli quando mi toccano le lenzuolate di un Eugenio Scalfari o d'una madamin Spinelli Barbara, ad ascoltare sgangherati concioni di Antonio Di Pietro, a sorbirmi almeno una volta l’anno Santoro e Fazio o quel Ridolini di Floris. Però, Eco no. Non mi chieda di leggere Eco e meno che mai il suo recente centone. Mi fido di lei, caro Glori: le credo sulla parola. Eco - lo dico essendomi purtroppo sorbito Baudolino, 526 pagine per raccontare questa storia: Baudolino va alla busca del Graal. Baudolino non lo trova. Baudolino torna a casa – sarà anche l'intellettuale più noto in Italia, isole comprese, ma se un suo libro ti casca sul piede te lo spappola, per dire quanto sono pesanti i suoi mattoni. Che per farcire la sua ultima mattonata abbia attinto a La tragica morte di Ippolito Nievo, il suo bel libro, caro Glori, non mi sorprende. Lei ha gettato una luce nuova sull'inopinato naufragio del vapore “Ercole” nel corso del quale perì Ippolito Nievo – intendente, cioè ufficiale pagatore dei Mille di Peppino Garibaldi - e scomparvero negli abissi le prove di un consistente finanziamento in piastre d’oro fornite dall'Inghilterra e le “pezze d’appoggio” dei versamenti a alti ufficiali dell’esercito e della marina borbonica i quali, così ben foraggiati, consentirono alle camice rosse di procedere pressoché indisturbati fino a Messina, passare lo Stretto e rimontare la Penisola. Tutte cose che ovviamente né Londra né Torino desideravano fossero rese note. Un ghiottissimo materiale che non poteva non stuzzicare la curiosità del noto autore di fogliettoni parastorici e lei caro Glori dovrebbe sentirsi orgoglioso d'averlo, diciamo così, ispirato. Il guaio è che Eco ha voluto metterci del suo ecocizzando – sinonimo di rendere fasullo – la figura di Nievo tratteggiandolo quale un «moscardino vanesio e fatuo». Segno che dello scrittore garibaldino non sa nulla o, peggio, non ha capito nulla. Se Eco fosse uno storico sarebbe grave, ma siccome è solo, sia detto con rispetto e
anzi, con considerazione, un contastorie farabolano, amen. Tanto La tragica morte di Ippolito Nievo è libro che per il rigore dell'indagine seguiterà a far testo, mentre del pastrocchio II cimitero di Praga si perderà presto, molto presto, quasi subito, la memoria

Paolo Granzotto
il Giornale, Domenica 19 dicembre 2010

giovedì 2 dicembre 2010

La tragica morte di Ippolito Nievo nel "Cimitero di Praga"

Per raccontare l'avventura garibaldina di Ippolito Nievo — conclusasi tragicamente il 4 marzo 1861 — nel suo recentissimo "Il cimitero di Praga”, Umberto Eco deve aver preso spunto dal libro "La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo Ercole" (Solfanelli, Chieti 2010). Umberto Eco sembra attingere vistosamente e palesemente al libro di Cesaremaria Glori, non soltanto per narrare con taglio romanzesco i fatti, ma anche per interpretare la caduta del Regno delle Due Sicilie nel quadro della volontà politica della Gran Bretagna di quel tempo. Volontà tesa a scardinare il Papato non tanto come Stato quanto come istituzione. Il Regno delle Due Sicilie doveva essere fagocitato da uno Stato laico e incline a perseguire una secolarizzazione della vita pubblica dell'intera penisola. La sua caduta era necessaria per eliminare l'ultimo baluardo difensivo del Papato.

La strana assonanza tra il saggio di Glori e il romanzo di Eco è stata rilevata nel corso della presentazione della nuova edizione de "Il Prato in fondo al mare" di Stanislao Nievo (nipote di Ippolito Nievo), avvenuta martedì 30 novembre, nei locali del Museo Etnografico Pigorini di Roma, suscitando viva curiosità e sconcerto.

È in corso la stesura di un dettagliato elenco di brani ove appare chiara, dal confronto dei due testi, l'esistenza di un possibile “plagio”.

L'Autore e l’Editore non intendono sollevare alcuna questione legale, ma il loro intento è far emergere, quantomeno, che Umberto Eco si è ispirato per la realizzazione di un capitolo del suo romanzo attingendo copiosamente al libro di Cesaremaria Glori " La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo Ercole". Ci si aspetta che Umberto Eco riconosca semplicemente di aver attinto all'altrui fatica, per una mera e semplice questione di onestà intellettuale.