venerdì 24 dicembre 2010

Il confronto fra il romanzo di Eco e il saggio di Glori

Con questo link si può scaricare il confronto tra le pagine del romanzo Il cimitero di Praga di Umberto Eco e il saggio La tragica morte di Ippolito Nievo di Cesaremaria Glori.

Il confronto dei testi

domenica 19 dicembre 2010

Per voi, cari lettori, farei di tutto. Ma non leggere Eco (in L'angolo di Granzotto)

Egregio dottor Granzotto,
lei ebbe modo di parlare del mio libro sulla tragica morte di Ippolito Nievo. In quell’occasione, scrisse di trovarlo interessante. La ringrazio per quel lusinghiero giudizio.
Ora mi trovo nell'imbarazzo di giudicare ciò che altri hanno definito plagio da parte di Umberto Eco quanto da lui scritto a proposito di Ippolito Nievo nel suo recente Il Cimitero di Praga. In questo romanzo Eco dedica ben novanta pagine per riprendere interamente la mia tesi sulla morte non accidentale dello scrittore garibaldino. Eco da un giudizio negativo sul personaggio Nievo, definendolo un moscardino vanesio e fatuo, ma riprende in pieno la mia tesi che lo vuole vittima di un delitto, anzi vittima della Ragion di Stato. Non so se lei abbia letto il romanzo di Eco (io l'ho fatto e l’ho trovato prolisso e dispersivo, nonché incline a descrivere scene care ai guardoni e ai fanatici dell'esoterismo più depravato), ma nel caso che non lo avesse ancora fatto la pregherei di farlo e giudicare se il plagio (io adotterei, piuttosto, il termine contraffazione) ci sia o meno. Non voglio essere tanto presuntuoso
da pensare di meritare il suo tempo e di sentirmi plagiato da Eco ma, data la notorietà del celeberrimo scrittore piemontese, ho la sensazione che lei si divertirà per questa mia provocazione e che non mancherà di darci le sue argute e calibrate riflessioni.

Cesaremaria Glori
e-mail



Per voi lettori io sono pronto a qualunque sacrificio, caro Glori. A sorbirmi la Bindi e la Serrachiani, a star dietro al clan di Val Cannuta, a leggermi Repubblica e L'Unità, a slogarmi la mascella per gli sbadigli quando mi toccano le lenzuolate di un Eugenio Scalfari o d'una madamin Spinelli Barbara, ad ascoltare sgangherati concioni di Antonio Di Pietro, a sorbirmi almeno una volta l’anno Santoro e Fazio o quel Ridolini di Floris. Però, Eco no. Non mi chieda di leggere Eco e meno che mai il suo recente centone. Mi fido di lei, caro Glori: le credo sulla parola. Eco - lo dico essendomi purtroppo sorbito Baudolino, 526 pagine per raccontare questa storia: Baudolino va alla busca del Graal. Baudolino non lo trova. Baudolino torna a casa – sarà anche l'intellettuale più noto in Italia, isole comprese, ma se un suo libro ti casca sul piede te lo spappola, per dire quanto sono pesanti i suoi mattoni. Che per farcire la sua ultima mattonata abbia attinto a La tragica morte di Ippolito Nievo, il suo bel libro, caro Glori, non mi sorprende. Lei ha gettato una luce nuova sull'inopinato naufragio del vapore “Ercole” nel corso del quale perì Ippolito Nievo – intendente, cioè ufficiale pagatore dei Mille di Peppino Garibaldi - e scomparvero negli abissi le prove di un consistente finanziamento in piastre d’oro fornite dall'Inghilterra e le “pezze d’appoggio” dei versamenti a alti ufficiali dell’esercito e della marina borbonica i quali, così ben foraggiati, consentirono alle camice rosse di procedere pressoché indisturbati fino a Messina, passare lo Stretto e rimontare la Penisola. Tutte cose che ovviamente né Londra né Torino desideravano fossero rese note. Un ghiottissimo materiale che non poteva non stuzzicare la curiosità del noto autore di fogliettoni parastorici e lei caro Glori dovrebbe sentirsi orgoglioso d'averlo, diciamo così, ispirato. Il guaio è che Eco ha voluto metterci del suo ecocizzando – sinonimo di rendere fasullo – la figura di Nievo tratteggiandolo quale un «moscardino vanesio e fatuo». Segno che dello scrittore garibaldino non sa nulla o, peggio, non ha capito nulla. Se Eco fosse uno storico sarebbe grave, ma siccome è solo, sia detto con rispetto e
anzi, con considerazione, un contastorie farabolano, amen. Tanto La tragica morte di Ippolito Nievo è libro che per il rigore dell'indagine seguiterà a far testo, mentre del pastrocchio II cimitero di Praga si perderà presto, molto presto, quasi subito, la memoria

Paolo Granzotto
il Giornale, Domenica 19 dicembre 2010

giovedì 2 dicembre 2010

La tragica morte di Ippolito Nievo nel "Cimitero di Praga"

Per raccontare l'avventura garibaldina di Ippolito Nievo — conclusasi tragicamente il 4 marzo 1861 — nel suo recentissimo "Il cimitero di Praga”, Umberto Eco deve aver preso spunto dal libro "La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo Ercole" (Solfanelli, Chieti 2010). Umberto Eco sembra attingere vistosamente e palesemente al libro di Cesaremaria Glori, non soltanto per narrare con taglio romanzesco i fatti, ma anche per interpretare la caduta del Regno delle Due Sicilie nel quadro della volontà politica della Gran Bretagna di quel tempo. Volontà tesa a scardinare il Papato non tanto come Stato quanto come istituzione. Il Regno delle Due Sicilie doveva essere fagocitato da uno Stato laico e incline a perseguire una secolarizzazione della vita pubblica dell'intera penisola. La sua caduta era necessaria per eliminare l'ultimo baluardo difensivo del Papato.

La strana assonanza tra il saggio di Glori e il romanzo di Eco è stata rilevata nel corso della presentazione della nuova edizione de "Il Prato in fondo al mare" di Stanislao Nievo (nipote di Ippolito Nievo), avvenuta martedì 30 novembre, nei locali del Museo Etnografico Pigorini di Roma, suscitando viva curiosità e sconcerto.

È in corso la stesura di un dettagliato elenco di brani ove appare chiara, dal confronto dei due testi, l'esistenza di un possibile “plagio”.

L'Autore e l’Editore non intendono sollevare alcuna questione legale, ma il loro intento è far emergere, quantomeno, che Umberto Eco si è ispirato per la realizzazione di un capitolo del suo romanzo attingendo copiosamente al libro di Cesaremaria Glori " La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo Ercole". Ci si aspetta che Umberto Eco riconosca semplicemente di aver attinto all'altrui fatica, per una mera e semplice questione di onestà intellettuale.

martedì 1 giugno 2010

RECENSIONE su "Radici Cristiane"

Se Ippolito Nievo è noto come autore de Le confessioni di un italiano, meno noto è come uomo e soldato (partecipò alla spedizione di Garibaldi contro il Regno delle Due Sicilie). Ma ancor meno nota è la sua fine. Ma andiamo con ordine: durante l’impresa garibaldina fu nominato viceintendente, il che comportava la responsabilità dell’amministrazione del corpo di spedizione e, in seguito, dell’esercito meridionale. Un incarico pieno di responsabilità questo, suscettibile di critiche che divennero malevole e spesso calunniose nella lotta fra le fazioni che vedevano contrapporsi Cavour e Garibaldi. Fu proprio per difendersi da queste calunnie, che avevano trovato nella stampa dell’epoca una tribuna ascoltata e temuta, che Nievo fu costretto a redigere un Rendiconto nel quale dimostrava, con meticolosa precisione, l’operato suo e di tutta l’Intendenza. Fare ricorso a quella stesura fu una mossa corretta, tuttavia nel fascicolo erano contenute notizie riservate, della specie che non sarebbe stato opportuno rivelare.

E veniamo al punto, ottimamente ricostruito da Glori che si è avvalso di materiale di archivi militari: Nievo partì da Palermo con il vapore Ercole la sera del 4 marzo 1860; a bordo c’erano 80 persone tra equipaggio e passeggeri e, custodito in una voluminosa cassa, il Rendiconto con tutti i documenti giustificativi che lui aveva predisposto. Il console amburghese Hennequin, che a Palermo curava gli interessi del Governo di Londra, aveva cercato di dissuaderlo dall’imbarcarsi su quella nave, ma il viceintendente non era uomo dall’abbandonare né il suo equipaggio né il prezioso carico, e non comprese il criptico messaggio dell’annunciato disastro. Non sapeva che quel rendiconto non doveva vedere la luce, perché avrebbe rivelato l’ingerenza pesante del Governo di Londra nella caduta del Regno delle Due Sicilie. L’Intendenza aveva dovuto gestire un ingente finanziamento in piastre d’oro turche, che aveva favorito l’arrendevolezza di gran parte degli ufficiali e delle alte cariche civili borboniche: un’immobilità che aveva paralizzato l’Esercito e soprattutto la Marina borbonica. La reazione fu tardiva, lacunosa e minata dalla sfiducia aggravata dal tradimento di molti, senza il quale il più grande e agguerrito Stato della penisola italiana, con la terza flotta europea di quel tempo, sarebbe difficilmente caduto.

La mattina successiva la nave si inabissò, quand’era già prossima al golfo di Napoli. Scritto con rigore di studioso, ma affascinante come un “giallo”, il saggio contribuisce a dare una nuova luce sugli aspetti meno noti del Risorgimento italiano, al cui 150° anniversario stiamo avvicinandoci forse senza un adeguato approccio critico.

(RC n. 55 - Giugno 2010)


http://www.radicicristiane.it/libro.php/id/187/Cesaremaria%20Glori/La-tragica-morte-di-Ippolito-Nievo

venerdì 9 aprile 2010

RECENSIONE di Silvia Stucchi (Libero, 09/04/2010)


Il tesoriere dei Mille fatto fuori dagli Inglesi, di Silvia Stucchi (Libero, 9 aprile 2010)

Cesaremaria Glori, La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo Ercole, Edizioni Solfanelli, Chieti 2010, 165 pagine, 12 euro

La tesi del saggio, come recita eloquente il titolo, è chiara: Ippolito Nievo, scrittore e patriota garibaldino, perito non ancora trentenne nel naufragio del vapore Ercole la notte fra il 4 e il 5 marzo 1861, sarebbe stato vittima di un sabotaggio.
In altre parole, dietro la morte dell’autore delle Confessioni di un italiano, spesso liquidato frettolosamente - e a torto!- come un “minore” della letteratura italiana, si celerebbe un vero giallo, un rebus rimasto insoluto per più di un secolo. L’autore, Cesaremaria Glori, ex Tenente colonnello, ora ricercatore e pubblicista, è convinto infatti che il piroscafo su cui era imbarcato Nievo, affondato al largo della costa sorrentina, guarda caso in corrispondenza di un tratto dai fondali particolarmente profondi, non fosse poi quella “carretta del mare” come invece venne presentato a posteriori, ma che, al contrario, si trattasse di una nave solida e perfettamente in grado, grazie agli interventi di manutenzione ricevuti, di solcare il Tirreno per effettuare un viaggio che, tutto sommato, potremmo definire di routine.
Ma perché mai la nave su cui viaggiava Nievo sarebbe stata affondata dolosamente? Per spiegare il “sabotaggio” (tale è l’esplicita convinzione di Glori, cfr. p. 126), l’autore, cui va riconosciuto un grande sforzo di documentazione basato sui realia, ricostruisce un ampio quadro storico che permette di comprendere, al di là della retorica della vulgata scolastica risorgimentale, quali siano state le forze veramente in campo negli anni attorno al 1860-61. E pertanto il saggio, diventando anche una sorta d’indagine giornalistica con venature giallistiche, si va a inserire in una più ampia serie di studi che, negli ultimi anni, vogliono non solo demistificare l’appiattente retorica di cui è stato avvolto il racconto del nostro Risorgimento, ma che mirano anche a dare un’immagine meno “a senso unico” di quegli anni, per evidenziarne le tensioni sotterranee, e per riscoprire, le forze attive, magari non proprio in campo aperto, ma determinanti nel loro adoperarsi dietro le quinte. Glori ricorda così che, alle vicende del 1860-61 diedero fondamentale impulso due elementi, solitamente negletti nel racconto patriottico: il primo fu la Massoneria -il cui ruolo nella realizzanda Unità d’Italia è stato indagato da poco in sede critica, per esempio da Angela Pellicciari (cfr. I Papi e la Massoneria, Ares 2007), la quale ha ricostruito i legami tra l’ideale Massonico e quello mazziniano e patriottico, dal momento che “l’unità d’Italia, e quindi la scomparsa dello Stato della Chiesa, erano funzionali all’instaurazione di un nuovo tipo di universalità” (ibid., p. 88); il secondo fattore fu l’intervento – e il finanziamento – inglese. In particolare, scrive Glori esplicitamente, “la conquista del Meridione d’Italia fu (…) agevolata in modo determinante dall’oro britannico (…) Quel fiume di denaro doveva servire a convincere una numerosa schiera di ufficiali e di alti esponenti dell’Amministrazione civile del Regno delle Due Sicilie, quanto meno, a non ostacolare, l’avvento del nuovo Ordine” (p. 132); e degli interessati maneggi inglesi, afferma l’autore, Nievo stesso era, secondo frammento di epistolario puntigliosamente compulsato da Glori, acutamente consapevole (pp. 38-39).
Il giovane Ippolito, per sua sfortuna, incrociò questa delicatissima congiuntura storica, restandone mortalmente (è proprio il caso di dirlo!) coinvolto, perché, membro della spedizione garibaldina, ricevette la carica di Vice Intendente, affidatagli anche in considerazione della sua comprovata onestà e del suo slancio ideale. Ciò comportava una serie di gravose responsabilità amministrative in relazione alla documentazione di spese e finanziamenti dell’impresa, e poneva Nievo in una posizione critica, in quella lotta la quale, lungi dalla vulgata scolastica che vuole perfetta concordia tra Cavour e Garibaldi, divise spesso in seguito i due partiti e le due fazioni. Il nostro patriota e scrittore dovette certo stilare un Rendiconto dettagliato circa lo stato delle finanze della spedizione. E tale documento non poteva non tenere conto del fatto che di tali finanziamenti facevano parte – e questo è il punto focale del testo di Glori - diecimila piastre turche in oro (equivalenti al valore di svariati milioni di dollari odierni, cfr. p. 55), elargite, secondo l’ipotesi già espressa da G. Di Vita durante il convegno “La liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria” (1988, atti presso le Edizioni Bastogi, Foggia 1990) direttamente a Garibaldi per un valore di circa tre milioni di franchi del tempo. La somma fu convertita, per scrupolo dissimulatorio, in valuta di un Paese, la Turchia, nemmeno lontanamente legato alle italiche vicende, ed era, al contempo, valuta pregiata, accettata ed apprezzata in tutto il bacino del Mediterraneo, particolarmente in isole quali la Sicilia, Malta, Creta e Cipro (p. 56). Glori, addirittura, identifica anche il preciso momento in cui questo tesoro venne imbarcato sui legni garibaldini: ciò sarebbe accaduto durante la sosta a Talamone, sosta motivata tradizionalmente dalla necessità di rifornirsi di cibo ed acqua, il che, secondo l’autore, sarebbe però stato “altamente improbabile”. Piuttosto, va ricordato che, sino a pochi mesi prima della spedizione dei Mille, a Lucca si coniavano per conto della Turchia ottomana le piastre d’oro; una buona quantità di quel denaro giaceva ancora presso la Zecca lucchese, e “nulla vieta di presumere che fosse acquistato da un potente governo straniero” (ibid.), di concerto con il governo della Sublime Porta “per essere destinato a riservatissime esigenze”. Tale fortuna, nonostante manchino- Glori è assai onesto nell’ammetterlo- documenti su specifici episodi di corruzione di ufficiali e amministratori borbonici, avrebbe poi di molto accelerato la successiva marcia trionfale dalla conca di Palermo al Vesuvio. Il denaro fu posto sotto la diretta responsabilità di Nievo, non a caso nominato vice Intendente in occasione della sosta per rifornimento a Talamone, non alla partenza a Quarto e nemmeno all’arrivo a Marsala, il che conferma ulteriormente, se mai servisse, che nella località toscana avvenne qualcosa di fondamentale. E non dimentichiamo che Ippolito, in una lettera alla sorella, dopo lo sbarco a Marsala, afferma testualmente d’essere costretto a dormire su sacchi pieni di denari, i quali, per certo, non possono venire identificati, secondo Di Vita, e nemmeno secondo Glori, con i “pochi soldacci di rame” trovati nelle casse comunali della cittadina siciliana; De Vita, che avrebbe potuto consultare gli archivi massonici di Edimburgo, afferma che il denaro, identificato nelle piastre turche, provenisse dall’Impero Britannico, intenzionato a sradicare dall’Italia il Papato e pertanto favorevole alla causa dell’unità nazionale: così ipotizza con dovizia di particolari anche Glori.
Nievo, quindi, sarebbe perito nel naufragio doloso dell’Ercole, affinché i conti della spedizione garibaldina non rivelassero tale non disinteressato aiuto e, men che meno, la sua provenienza. Non solo: nella fitta mole di materiale d’archivio puntigliosamente compulsato, troviamo citata, e riprodotta fotograficamente, una lettera di condoglianze, firmata Giuseppe Garibaldi e indirizzata alla famiglia di Nievo (p. 126 ss.); la missiva esprime vivo dispiacere, e tuttavia, osa affermare Glori, sfidando nientemeno che il Mito, “il rammarico potrà anche essere stato sincero, ma quella lettera ai familiari ci appare intrisa di ipocrisia” (!): secondo l’autore del presente saggio, infatti, l’Eroe dei Due Mondi, affiliato alla Massoneria sin dal 1844, non poteva essere all’oscuro degli avvenimenti della notte fra il 4 e 5 marzo, così come pure doveva esserlo un altro personaggio ben noto a Nievo, e cioè il console Hennequin, anch’egli di comprovata familiarità con gli ambienti britannici e massonici. I tentativi di dissuasione di quest’ultimo, che cercò ripetutamente di convincere Nievo a procrastinare la partenza, consentirebbero di ipotizzare con una certa sicurezza che il giovane scrittore, al contrario, non doveva essere membro della associazione segreta, per il semplice motivo che, in tal caso, l’Hennequin avrebbe avuto l’obbligo di avvertirlo esplicitamente, per salvarlo, e il giovane, del resto, avrebbe dovuto obbedire al consiglio di un confratello.
Insomma, il testo di Glori espone e propone una tesi chiara, dimostrata more geometrico con dovizia di particolari, riproducendo molto materiale raro a consultarsi, il che dimostra uno studio indefesso, ostinato e appassionato, oltre che, ci pare, competente. Con socratica evidenza, una volta formulata l’ipotesi, sulla base di certe premesse, l’autore ci illustra una serie di indizi dettagliatissimi, per ricostruire un quadro che alla fine risulti persuasivo per il lettore: e, al di là delle conclusioni e delle convinzioni, resta, dalla lettura di queste pagine, l’impressione che sul nostro Risorgimento ancora molto ci sia da dire, e che molte figure, personaggi ed episodi, celino un risvolto avventuroso, ai limiti del giallo, che sarebbe interessante conoscere meglio.

Silvia Stucchi
Libero, 9 aprile 2010

domenica 28 febbraio 2010

NIEVO di Rino Cammilleri (Antidoti, 28/02/2010)

Per quelli che hanno letto il mio Sherlock Holmes e il misterioso caso di Ippolito Nievo (San Paolo): è uscito un libro che parla della vera storia della morte dello scrittore, che nel mio romanzo funge da spunto di indagine per l’Investigatore creato da Arthur Conan Doyle (che era cattolico, anche se spiritista).

Il libro in questione è La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo Ercole (Solfanelli), di Cesaremaria Glori. Un libro che, ahimè, non c’era quando ho scritto il mio romanzo, così che mi è toccato ricostruire la vicenda faticosamente.

http://www.rinocammilleri.com/2010/02/nievo/



Cesaremaria Glori
LA TRAGICA MORTE DI IPPOLITO NIEVO
Il naufragio doloso del piroscafo Ercole
Presentazione di Vito Caporaso
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-89756-82-9]
Pagg. 168 - € 12,00

martedì 26 gennaio 2010

" LA TRAGICA MORTE DI IPPOLITO NIEVO" nel volume di Cesaremaria Glori

Ippolito Nievo, l’autore de "Le confessioni", uno dei più bei romanzi italiani dell’Ottocento, partecipò alla spedizione di Garibaldi del 1859. Nel corso della navigazione verso le coste siciliane gli fu affidato l’incarico di viceintendente, il che comportava la responsabilità dell’amministrazione del corpo di spedizione e, in seguito, dell’Esercito Meridionale. Un incarico pieno di responsabilità questo, suscettibile di critiche che divennero malevole e spesso calunniose nella lotta fra le fazioni che vedevano contrapporsi Cavour e Garibaldi.

Fu proprio per difendersi da queste calunnie, che avevano trovato nella stampa dell’epoca una tribuna ascoltata e temuta, che Nievo fu costretto a redigere un rendiconto nel quale dimostrava, con meticolosa precisione, l’operato suo e di tutta l’Intendenza.

Fare ricorso a quella stesura fu una mossa corretta, tuttavia nel fascicolo erano contenute notizie riservate, della specie che non sarebbe stato opportuno rivelare.

Nievo partì da Palermo con il vapore Ercole la sera del 4 marzo 1861: a bordo c’erano ottanta persone tra equipaggio e passeggeri e, custodito in una voluminosa cassa, il rendiconto con tutti i documenti giustificativi che lui aveva predisposto.

Il console amburghese Hennequin, che a Palermo curava gli interessi del governo di Londra, aveva cercato di dissuaderlo dall’imbarcarsi su quella nave, ma il viceintendente non era uomo dall’abbandonare né il suo equipaggio né il prezioso carico e non comprese il criptico messaggio del’annunciato disastro.

Non sapeva che quel rendiconto non doveva vedere la luce, perché avrebbe rivelato l’ingerenza pesante del governo di Londra nella caduta del Regno delle Due Sicilie. L’Intendenza aveva dovuto gestire un ingente finanziamento in piastre d’oro turche, che aveva favorito l’arrendevolezza di gran parte degli ufficiali e delle alte cariche civili borboniche: un'immobilità che aveva paralizzato l’Esercito e soprattutto la Marina borbonica.

La reazione fu tardiva, lacunosa e minata dalla sfiducia aggravata dal tradimento di molti, senza il quale il più grande e agguerrito Stato della penisola italiana, con la terza flotta europea di quel tempo, sarebbe difficilmente caduto.

La mattina successiva la nave si inabissò, quand’era già prossima al golfo di Napoli, e con essa anche uno dei più grandi scrittori e patrioti italiani dell'Ottocento.

La sua affascinante storia e quella dell'unità d'Italia sono raccontate nel libro di Cesaremaria Glori "La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo Ercole", pubblicato Edizioni Solfanelli (pp.168, euro 12), con la presentazione di Vito Caporaso.

L'autore, Cesaremaria Glori, è nato a Roma nel 1936 nello storico quartiere Monti, ove la sua famiglia dimorava da secoli. Fu allievo dell’Accademia Militare di Modena nel biennio 1955/1957, donde uscì sottotenente del Servizio di Amministrazione dell’Esercito. La sua carriera militare si svolse prevalentemente fra le truppe alpine, restandone profondamente influenzato nell’animo e nel corpo. Laureatosi in Scienze Politiche a Roma nel 1970, lasciò l’Esercito nel 1981 con il grado di Tenente colonnello per dedicarsi ad una attività professionale nel campo economico/commerciale esercitata a Belluno, dove tuttora vive.


http://www.aise.it/gestionedb/03-News.asp?Web=Cultura&Modo=12&IDArc=84140

sabato 16 gennaio 2010

Novità: LA TRAGICA MORTE DI IPPOLITO NIEVO

Ippolito Nievo, l’autore de Le confessioni, uno dei più bei romanzi italiani dell’Ottocento, partecipò alla Spedizione di Garibaldi del 1859. Nel corso della navigazione verso le coste siciliane gli fu affidato l’incarico di Vice Intendente, il che comportava la responsabilità dell’amministrazione del corpo di spedizione e, in seguito, dell’Esercito Meridionale. Un incarico pieno di responsabilità questo, suscettibile di critiche che divennero malevole e spesso calunniose nella lotta fra le fazioni che vedevano contrapporsi Cavour e Garibaldi.
Fu proprio per difendersi da queste calunnie, che avevano trovato nella stampa dell’epoca una tribuna ascoltata e temuta, che Nievo fu costretto a redigere un Rendiconto nel quale dimostrava, con meticolosa precisione, l’operato suo e di tutta l’Intendenza.
Fare ricorso a quella stesura fu una mossa corretta, tuttavia nel fascicolo erano contenute notizie riservate, della specie che non sarebbe stato opportuno rivelare.
Nievo partì da Palermo con il vapore Ercole la sera del 4 marzo 1861: a bordo c’erano ottanta persone tra equipaggio e passeggeri e, custodito in una voluminosa cassa, il Rendiconto con tutti i documenti giustificativi che lui aveva predisposto.
Il console amburghese Hennequin, che a Palermo curava gli interessi del Governo di Londra, aveva cercato di dissuaderlo dall’imbarcarsi su quella nave, ma il Vice Intendente non era uomo dall’abbandonare né il suo equipaggio né il prezioso carico, e non comprese il criptico messaggio del’annunciato disastro.
Non sapeva che quel rendiconto non doveva vedere la luce, perché avrebbe rivelato l’ingerenza pesante del Governo di Londra nella caduta del Regno delle Due Sicilie. L’Intendenza aveva dovuto gestire un ingente finanziamento in piastre d’oro turche, che aveva favorito l’arrendevolezza di gran parte degli ufficiali e delle alte cariche civili borboniche: un’ immobilità che aveva paralizzato l’Esercito e soprattutto la Marina borbonica.
La reazione fu tardiva, lacunosa e minata dalla sfiducia aggravata dal tradimento di molti, senza il quale il più grande e agguerrito Stato della penisola italiana, con la terza flotta europea di quel tempo, sarebbe difficilmente caduto.
La mattina successiva la nave si inabissò, quand’era già prossima al golfo di Napoli.



Cesaremaria Glori
LA TRAGICA MORTEDI IPPOLITO NIEVO
Il naufragio doloso del piroscafo Ercole

Presentazione di Vito Caporaso
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-89756-82-9]
Pagg. 168 - € 12,00

http://www.edizionisolfanelli.it/ippolitonievo.htm